i foraminiferi

venerdì 10 marzo 2017

La cellula per la I media

La parte iniziale scritta in corsivo mi è servita per attirare l'attenzione dei ragazzi: vi si parla di un esperienza che, almeno una parte di loro, hanno vissuto e quindi si sono immedesimati in Antonio. Devo dire che ha funzionato.  Con disegni improvvisati alla lavagna (bruttissimi, non so disegnare, ma credo comunque utili) ho accompagnato la descrizione della cellula-città. Infine ho mostrato cellule al microscopio: fili d'erba, ali di mosche, cellule del cavo orale colorate col blu di metilene e perfino sangue.
L'attenzione e la curiosità dei ragazzi sono state sempre vive.





        Antonio è un bel bambino di 8 anni, vivace, robusto e appassionato di calcio. Quel giorno era molto contento perché il “Mister”  lo aveva finalmente inserito come titolare nella squadra di pulcini in cui si allenava da tempo. Avrebbe così potuto disputare partite vere, con veri avversari, non solo quelle di allenamento con i compagni di squadra. Il mister gli aveva anche dato un foglio da consegnare alla mamma in cui erano elencati i documenti necessari per iscriversi alla federazione giovanile calcio. La mamma fu molto contenta per lui e disse, dopo aver letto il foglio, che per l’iscrizione lo doveva accompagnare dal medico per un certificato che attestasse la sua buona salute ma anche al distretto sanitario per un prelievo di sangue. La parola : PRELIEVO gelò Antonio. Capite!!!: un prelievo di sangue, cioè una puntura in una vena con un siringone gigante? Brr..che paura!
Come potete immaginare,la contentezza di Antonio diminuì immediatamente. Però si finse tranquillo fino all’ora di andare a dormire: non voleva farsi vedere pauroso dai fratelli più grandi che l’avrebbero senz’altro preso in giro.
Ma, una volta a letto, di dormire non se ne parlava: appena chiudeva gli occhi vedeva siringhe che si muovevano da sole, vampiri che aspettavano il suo sangue……Come rimediare?
Che cosa può consolare un bambino spaventato? Ma certo! Qualcosa di dolce, di mooolto dolce.
Così Antonio, cercando di non far rumore, si alzò, andò in cucina, aprì la scatola dei suoi biscotti preferiti (quelli tutti ricoperti di cioccolato) e se li mangiò quasi tutti. Si sentì subito un po’ più tranquillo ma, per essere più sicuro in caso la paura fosse tornata, prese anche una bella manciata di caramelle. Succhiandole una ad una finalmente si addormentò.
La mattina dopo la mamma lo svegliò presto: sperava di poter fare il prelievo in tempo per l’ora della scuola. Antonio tutto insonnolito la seguì docilmente. Quel giorno, stranamente, al distretto c’era poca gente e si sbrigarono subito. L’infermiera dei prelievi era giovane, scherzò con lui e fu così brava che il bambino quasi non si accorse della puntura. Era stato tutto molto più semplice di quanto temuto!
Naturalmente questo non gli impedì di fare un po’ l’eroe a scuola mostrando a tutti i compagni il cerotto che l’infermiera, per pura precauzione, gli aveva messo.
Quando la mamma lo venne a prendere all’uscita dalla scuola gli sembrò più seria del solito, come se fosse preoccupata. Più tardi gli disse che avevano telefonato dal  distretto sanitario perché volevano ripetere le sue analisi. Quindi la mattina dopo dovevano tornare là. Antonio non si preoccupò perché ormai non aveva più paura e la notte dormì tranquillo.
Per fortuna la maggior parte delle nostre cellule continuano a lavorare anche quando dormiamo. Così mentre Antonio dormiva le cellule del suo pancreas erano in piena attività. Perché mi riferisco in particolare alle cellule del pancreas? Perché il problema apparso nelle analisi del sangue di Antonio del giorno prima era,come potete immaginare, una quantità eccessiva di zucchero. Lo zucchero deve essere presente nel sangue ma entro limiti precisi: zucchero in eccesso potrebbe indicare una grave malattia che si chiama diabete. Per questo la mamma di Antonio era preoccupata. Nelle persone sane, quando i limiti di zucchero nel sangue vengono superati (per esempio per aver mangiato troppi dolci), una parte delle cellule del pancreas producono una sostanza che si chiama insulina in grado di neutralizzare lo zucchero in eccesso. In caso di diabete invece questa sostanza non viene prodotta.
Ma come fanno le cellule del pancreas a sapere quando e quanta insulina produrre?


                             Come lavorano le nostre cellule 

Per capirne il  funzionamento proviamo a pensare ad ogni cellula come una città: come una città che deve ricevere dall’esterno le materie prime per le sue attività ( ad esempio non ci sono campi coltivati o stalle in città e quindi gli alimenti devono essere importati) ma che poi ha al suo interno tutti i servizi necessari per la trasformazione delle materie prime, il loro trasporto e la loro distribuzione. 
Come tutte le cellule del nostro corpo, le cellule del pancreas sono a diretto contatto con capillari dove scorre il sangue: è dal sangue che ricevono l’ossigeno e le sostanze necessarie per le loro attività. Come tutte le cellule inoltre sono circondate da una membrana  che rappresenta le mura (come quelle delle città antiche) anche se nella membrana cellulare non ci sono porte. Ci sono però, sia all’esterno che all’interno della membrana molte“sentinelle” che si chiamano recettori. Queste sentinelle sono in grado di riconoscere le molecole che cercano di entrare o uscire e di decidere se aprire degli appositi varchi o no. Queste sentinelle possono anche cogliere i cambiamenti che avvengono all’esterno della cellula e avvertire chi di dovere all’interno.
Così i recettori esterni delle cellule del pancreas di Antonio capiscono che c’è troppo zucchero nel sangue ed inviano un messaggio ai recettori interni. Questi, una volta ricevuto il messaggio, inviano dei messaggeri che corrono attraverso il citoplasma (così si chiama l’interno della cellula che essendo semiliquido permette lo spostamento veloce delle molecole) per portarlo al Capo.  Il Capo sta sempre racchiuso nel suo palazzo, cioè nel nucleo della cellula. Anche il nucleo è circondato da membrana ma qui le porte ci sono; si chiamano pori e sveltiscono i passaggi da fuori a dentro il nucleo e viceversa.  Ma chi è il capo della cellula, quello che prende le decisioni?  

Ha un nome difficile: si chiama acido desossiribonucleico ma tutti lo chiamano semplicemente DNA

 Si tratta di una molecola complessa che si presenta come un doppio lunghissimo filamento, strettamente avvolto su sé stesso, su cui sono scritte (in codice, il cosiddetto codice genetico) le formule di tutte le proteine che la cellula sa produrre. In base ai messaggi ricevuti il DNA si srotola e riarrotola fino ad esporre la formula necessaria in quel momento, in questo caso quella dell’insulina. Accorre allora il suo fido aiutante e cioè l’acido ribonucleico (RNA) messaggero che copia la formula e si affretta a portarla fuori dal nucleo fino alle fabbriche (per questo si chiama messaggero). Le fabbriche, che si chiamano ribosomi, sono piccole, tondeggianti e molte di loro devono collaborare per produrre una molecola lunga come l’insulina. L’RNA messaggero si distende tra i vari ribosomi necessari e, al microscopio elettronico, appare come un filo in cui sono infilate delle perle.
 Per costruire l’insulina o qualsiasi altra proteina ci vogliono i mattoni giusti. Vari mattoni, che si chiamano amminoacidi e sono derivati dalle sostanze nutritive importate dal sangue, si trovano sparsi in giro per la città, cioè volevo dire in giro per il citoplasma. Gli RNA trasportatori sono i fattorini incaricati di andarli a cercare e di portarli alle fabbriche. Ognuno di loro è specializzato per un certo amminoacido. Del resto gli amminoacidi sono solo 20: è la loro diversa combinazione che permette la formazione di un numero pressoché infinito di proteine diverse. Tanto per semplificare facciamo finta che le lettere dell’alfabeto che compongono la parola INSULINA siano i mattoni che servono per produrla: ci sarà allora un RNA trasportatore per la I, uno per la N, uno per la S e così via. Quando i vari RNA trasportatori arrivano alle fabbriche, ciascuno con il suo carico, non devono far altro che depositarlo nel punto indicato dall’RNA messaggero. Così ad esempio il trasportatore della U andrà in quarta posizione, quello della N al penultimo posto e quello della A all’ultimo. A questo punto i vari amminoacidi si trovano ben disposti nel giusto ordine. Ma la storia non è finita: ora ci vuole dell’energia per formare legami stabili fra di loro in modo da ottenere una sola grande molecola.
 Nelle cellule, come nelle città del resto, ci sono anche delle centrali energetiche. 
Si chiamano mitocondri. Sono centrali di riciclaggio: con l’aiuto dell’ossigeno importato dal sangue, trasformano in energia i prodotti finali di tutte le reazioni che avvengono nella cellula. Ma l’energia, una volta prodotta,  deve essere in qualche modo trasportata in qualsiasi parte della cellula in cui sia richiesta. Non ci sono nella cellula tralicci, cavi e fili! Così il trasporto avviene grazie a potenti “batterie” che vengono caricate all’interno dei mitocondri e possono poi uscirne e spostarsi nel citoplasma. Naturalmente anche in questo caso  la “batteria” è in realtà una molecola dal nome ancora una volta molto difficile: adenosintrifosfato, ma per gli amici basta ATP. E’ grazie al tempestivo arrivo dell’ATP che si può cosi ultimare la formazione dell’insulina. L’ATP (diventata ADP) torna poi nei mitocondri per ricaricarsi. 
Adesso l’insulina deve essere trasportata nei pressi della membrana per essere poi riversata fuori. Come avviene il trasporto? Nella cellula c’è anche un sistema di canali e laghetti, all’interno dei quali viene riversata l’insulina o qualsiasi altra  proteina prodotta dai ribosomi. Questi canali, circondati anche loro da membrana in modo che il loro contenuto non si mescoli con il resto del citoplasma, costituiscono una rete di comunicazione (infatti si chiamano nel loro complesso reticolo) come le strade in una città, che arriva fino alla membrana esterna.  Nel caso di molecole complesse il primo prodotto può fare una sosta nel “Golgi” laboratorio cellulare (così chiamato in onore dello scienziato che lo ha scoperto) in cui i diversi componenti vengono assemblati. L’insulina comunque è una proteina semplice e viaggia direttamente verso la membrana. Qui i recettori esterni ed interni (le sentinelle di cui abbiamo parlato prima, ricordate?) riconoscono l’insulina e aprono i varchi per farla uscire. I recettori delle cellule della parete del  capillare sanguigno più vicino, al contrario, aprono i varchi per farla entrare. 
E una volta che l’insulina è nel sangue: zucchero in eccesso sei fritto!
Quando il livello dello zucchero è tornato ad un valore normale le cellule del pancreas si rilassano un po’e mantengono la loro produzione ad un livello di mantenimento.

Non c’è bisogno di essere indovini per conoscere la fine della nostra storia. Le nuove analisi di Antonio saranno perfette visto che le sue cellule del pancreas hanno avuto tutto il tempo di sistemare le cose. Così non era stato nelle prime analisi perché, se vi ricordate, Antonio aveva ingurgitato dolci per tutta la notte e le cellule del pancreas non avevano avuto il tempo di produrre abbastanza insulina per neutralizzarlo. E’ per questo che quando si va a fare il prelievo per l'analisi del sangue non bisogna neanche fare colazione! 


martedì 7 marzo 2017

Simbiosi ed evoluzione: visione dell'evoluzione al femminile?

·        Questo post è dedicato a Lynn Margulis e a tutte le donne che si occupano di scienza e devono farsi largo in un ambiente ancora abbastanza maschilista.                       


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            Nel 1970 uscì il libro “Origin of Eukariotic cell” (Origine della cellula eucariotica) in cui, l’allora giovanissima scienziata americana Lynn Margulis, proponeva un modello di evoluzione basato non tanto sulla competizione, sulla lotta per la sopravvivenza come il neodarwinismo in auge a quel tempo affermava, ma sulla cooperazione. 
Secondo questo modello una delle maggiori forze dell’evoluzione sarebbe la simbiosi:  gli esseri viventi acquisirebbero cioè nuove funzioni, non solo in maniera graduale attraverso le mutazioni, ma più rapidamente attraverso l’interazione di organismi che appartengono a specie diverse .  

 L'autrice affermava:

The life did not take over the Globe by combat, but by networking" (la vita non conquistò la Terra attraverso la lotta, ma attraverso la cooperazione”) 

·                                 Questo libro fu accolto con la tipica, più o meno bonaria condiscendenza di un mondo quasi esclusivamente maschile (quello scientifico) verso le idee di una donna.

·                                 La evoluzione vista al femminile, ah! ah!” 

Si sono dovuti ricredere.....



Lynn Margulis con me e i miei studenti nell'aula Magna dell'Università di Pisa in occasione del conferimento della laurea ad Honorem nel 2010. Nel 2011 è morta all'improvviso ancora in piena attività. 


·                                  Adesso, dopo quasi 50 anni, si è capito che Lynn Margulis aveva ragione ed è ormai riconosciuto da tutti il ruolo determinante della simbiosi in eventi estremamente significativi della storia della vita sulla Terra come ad esempio nell’origine della cellula eucariotica

Tale cellula, comparsa 1,5 miliardi di anni fa, ha una struttura complessa, ha il DNA racchiuso in nucleo (eu= buono; carion: nucleo dal greco antico) e altri organuli circondati da membrana e, ancora adesso, si ritrova con la stessa struttura in tutte le forme viventi uni e pluricellulari (noi umani compresi) definite appunto eucarioti.  Quando la cellula eucariotica è comparsa, la vita sulla terra, fino ad allora rappresentata solo da organismi procariotici (cellula semplice, senza nucleo e organelli membranosi) tutti unicellulari, attraversava un brutto periodo. Nell’atmosfera, probabilmente a causa della fotosintesi svolta da molti di questi organismi, era aumentato l’ossigeno, gas velenoso per i viventi di allora. Come ho descritto più in dettaglio nel post “Il primo inquinamento”, la maggior parte delle specie si estinsero. Alcune specie però impararono a respirare ossigeno e altre, forse più grandi, le inglobarono e instaurarono con queste, un rapporto di simbiosi con uno scambio reciproco di favori: la cellula più grande avrebbe fornito biomolecole e sali minerali, mentre le cellule incorporate avrebbero fornito energia.  Sarebbero originati così i mitocondri, gli organuli in cui avviene la respirazione cellulare con conseguente produzione di energia. Nello stesso modo, incorporando procarioti fotosintetici, la cellula eucariotica avrebbe acquistato i cloroplasti cioè gli organuli che, nelle cellule vegetali. contengono la clorofilla.  Secondo alcuni perfino il nucleo avrebbe origine simbiotica ma questa idea non è condivisa da tutti. Molti autori, come quelli da cui ho preso la seguente immagine,  invece pensano più ad una origine interna del nucleo. Il nucleo cioè si sarebbe formato prima dell'acquisizione dei simbionti.
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Altro tipo di collaborazione è quello che ha portato ad un altro passaggio fondamentale per la vita sul nostro pianeta cioè: 

l’origine di organismi pluricellulari .  

Sul come questo sia avvenuto gli scienziati non sono ancora d’accordo. Comunque in questo caso si tratta di organismi della stessa specie che si uniscono, quindi non è del tutto esatto parlare di simbiosi, ma di

 cooperazione si!!


·                                 Un organismo pluricellulare non è una semplice aggregazione di cellule della stessa specie come ad esempio una colonia di batteri o protisti, ma una struttura organizzata in cui le singole unità comunicano tra loro e si dividono i compiti!!!
Si raggiungono così funzionalità di più alto livello in cui le varie cellule svolgono funzioni diverse ma complementari e coordinate.
 Così, mentre un organismo unicellulare deve svolgere tutte le funzioni vitali con la sua unica cellula (vedi il post protisti cellule-organismo), un organismo pluricellulare ha la possibilità di far svolgere le varie attività fisiologiche e metaboliche a cellule predisposte e specializzate a compiere solo una ben determinata mansione, con conseguente maggior efficienza e risparmio energetico. Ne consegue anche una maggiore flessibilità e adattabilità all’ambiente e quindi maggiore variabilità! 

Forme primordiali di organismi pluricellulari
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Un altro esempio di simbiosi che ha avuto un ruolo chiave in un evento evolutivo fondamentale è costituito dalle micorrize.
Si chiama micorriza  un’associazione tra un fungo ed una pianta,   Questa associazione, che si è originata più di 400 milioni di anni, fa viene considerata un evento chiave per l’ adattamento delle piante alla colonizzazione delle terre emerse. 
     Non ci vuole un grande intuito per capire che solo in seguito a questo evento anche gli animali si sono avventurati nell’ambiente terrestre!
Questa simbiosi è diffusissima ancora adesso: pensate che quasi il 90% delle piante oggi esistenti non possiede radici, ma MICORRIZE:!

 Come si spiega il successo di questa collaborazione? Beh, il fungo riceve dalla pianta tutto quello che gli serve in cambio le conferisce: 

1) Maggiore efficienza nell’assorbimento del fosforo dal terreno
2) Maggiore assorbimento e selettività nell’assorbimento di    microelementi.
3) Maggiore capacità di suzione dell’acqua dal suolo.
4) Maggiore tolleranza ai patogeni e parassiti sia della parte aerea che di quella radicale.
5) Maggiore resistenza a stress come alte temperature, stress idrici e salini, acidità del terreno e  metalli pesanti.
                            Vi basta????

In questa simbiosi, relativamente recente rispetto alle altre due di cui abbiamo parlato prima, i due partners restano ancora distinti come organismi diversi. Possiamo facilmente riconoscerli a volte anche quando reinvasiamo le nostre piante da balcone o da orto.




I sottili filamenti bianchi sono le ife fungine

Inoltre i funghi delle micorrize possono estendere le loro ife per larghissimi spazi formando sotto terra una sorta di reticolo che connette e in qualche modo fa comunicare diverse piante tra loro.
Come si legge nella copertina del nostro libro “Simbiosi ed evoluzione":

Le fronde degli alberi,gli arbusti, i
funghi, l’erba , la varietà dei fiori
che osserviamo passeggiando in un
bosco sono solo la parte visibile di
un sistema sotterraneo complesso,
che connette in un’unica rete la
maggior parte delle specie vegetali
presenti.

Che ne dite ha fatto bene Lynn Margulis ad insistere  sull’importanza della cooperazione nell’evoluzione in generale ed anche per singole specie come ho già illustrato nel post “insieme si può” ?