La parte iniziale scritta in corsivo mi è servita per attirare l'attenzione dei ragazzi: vi si parla di un esperienza che, almeno una parte di loro, hanno vissuto e quindi si sono immedesimati in Antonio. Devo dire che ha funzionato. Con disegni improvvisati alla lavagna (bruttissimi, non so disegnare, ma credo comunque utili) ho accompagnato la descrizione della cellula-città. Infine ho mostrato cellule al microscopio: fili d'erba, ali di mosche, cellule del cavo orale colorate col blu di metilene e perfino sangue.
L'attenzione e la curiosità dei ragazzi sono state sempre vive.
Come lavorano le nostre cellule
Antonio è un bel bambino di 8 anni, vivace, robusto e appassionato di calcio. Quel giorno era molto contento perché il “Mister” lo aveva finalmente inserito come titolare nella squadra di pulcini in cui si allenava da tempo. Avrebbe così potuto disputare partite vere, con veri avversari, non solo quelle di allenamento con i compagni di squadra. Il mister gli aveva anche dato un foglio da consegnare alla mamma in cui erano elencati i documenti necessari per iscriversi alla federazione giovanile calcio. La mamma fu molto contenta per lui e disse, dopo aver letto il foglio, che per l’iscrizione lo doveva accompagnare dal medico per un certificato che attestasse la sua buona salute ma anche al distretto sanitario per un prelievo di sangue. La parola : PRELIEVO gelò Antonio. Capite!!!: un prelievo di sangue, cioè una puntura in una vena con un siringone gigante? Brr..che paura!
Come potete immaginare,la contentezza di Antonio diminuì immediatamente. Però si finse tranquillo fino all’ora di andare a dormire: non voleva farsi vedere pauroso dai fratelli più grandi che l’avrebbero senz’altro preso in giro.
Ma, una volta a letto, di dormire non se ne parlava: appena chiudeva gli occhi vedeva siringhe che si muovevano da sole, vampiri che aspettavano il suo sangue……Come rimediare?
Che cosa può consolare un bambino spaventato? Ma certo! Qualcosa di dolce, di mooolto dolce.
Così Antonio, cercando di non far rumore, si alzò, andò in cucina, aprì la scatola dei suoi biscotti preferiti (quelli tutti ricoperti di cioccolato) e se li mangiò quasi tutti. Si sentì subito un po’ più tranquillo ma, per essere più sicuro in caso la paura fosse tornata, prese anche una bella manciata di caramelle. Succhiandole una ad una finalmente si addormentò.
La mattina dopo la mamma lo svegliò presto: sperava di poter fare il prelievo in tempo per l’ora della scuola. Antonio tutto insonnolito la seguì docilmente. Quel giorno, stranamente, al distretto c’era poca gente e si sbrigarono subito. L’infermiera dei prelievi era giovane, scherzò con lui e fu così brava che il bambino quasi non si accorse della puntura. Era stato tutto molto più semplice di quanto temuto!
Naturalmente questo non gli impedì di fare un po’ l’eroe a scuola mostrando a tutti i compagni il cerotto che l’infermiera, per pura precauzione, gli aveva messo.
Quando la mamma lo venne a prendere all’uscita dalla scuola gli sembrò più seria del solito, come se fosse preoccupata. Più tardi gli disse che avevano telefonato dal distretto sanitario perché volevano ripetere le sue analisi. Quindi la mattina dopo dovevano tornare là. Antonio non si preoccupò perché ormai non aveva più paura e la notte dormì tranquillo.
Per fortuna la maggior parte delle nostre cellule continuano a lavorare anche quando dormiamo. Così mentre Antonio dormiva le cellule del suo pancreas erano in piena attività. Perché mi riferisco in particolare alle cellule del pancreas? Perché il problema apparso nelle analisi del sangue di Antonio del giorno prima era,come potete immaginare, una quantità eccessiva di zucchero. Lo zucchero deve essere presente nel sangue ma entro limiti precisi: zucchero in eccesso potrebbe indicare una grave malattia che si chiama diabete. Per questo la mamma di Antonio era preoccupata. Nelle persone sane, quando i limiti di zucchero nel sangue vengono superati (per esempio per aver mangiato troppi dolci), una parte delle cellule del pancreas producono una sostanza che si chiama insulina in grado di neutralizzare lo zucchero in eccesso. In caso di diabete invece questa sostanza non viene prodotta.
Ma come fanno le cellule del pancreas a sapere quando e quanta insulina produrre?
Per capirne il funzionamento proviamo a pensare ad ogni cellula come una città: come una città che deve ricevere dall’esterno le materie prime per le sue attività ( ad esempio non ci sono campi coltivati o stalle in città e quindi gli alimenti devono essere importati) ma che poi ha al suo interno tutti i servizi necessari per la trasformazione delle materie prime, il loro trasporto e la loro distribuzione.
Come tutte le cellule del nostro corpo, le cellule del pancreas sono a diretto contatto con capillari dove scorre il sangue: è dal sangue che ricevono l’ossigeno e le sostanze necessarie per le loro attività. Come tutte le cellule inoltre sono circondate da una membrana che rappresenta le mura (come quelle delle città antiche) anche se nella membrana cellulare non ci sono porte. Ci sono però, sia all’esterno che all’interno della membrana molte“sentinelle” che si chiamano recettori. Queste sentinelle sono in grado di riconoscere le molecole che cercano di entrare o uscire e di decidere se aprire degli appositi varchi o no. Queste sentinelle possono anche cogliere i cambiamenti che avvengono all’esterno della cellula e avvertire chi di dovere all’interno.
Così i recettori esterni delle cellule del pancreas di Antonio capiscono che c’è troppo zucchero nel sangue ed inviano un messaggio ai recettori interni. Questi, una volta ricevuto il messaggio, inviano dei messaggeri che corrono attraverso il citoplasma (così si chiama l’interno della cellula che essendo semiliquido permette lo spostamento veloce delle molecole) per portarlo al Capo. Il Capo sta sempre racchiuso nel suo palazzo, cioè nel nucleo della cellula. Anche il nucleo è circondato da membrana ma qui le porte ci sono; si chiamano pori e sveltiscono i passaggi da fuori a dentro il nucleo e viceversa. Ma chi è il capo della cellula, quello che prende le decisioni?
Ha un nome difficile: si chiama acido desossiribonucleico ma tutti lo chiamano semplicemente DNA.
Si tratta di una molecola complessa che si presenta come un doppio lunghissimo filamento, strettamente avvolto su sé stesso, su cui sono scritte (in codice, il cosiddetto codice genetico) le formule di tutte le proteine che la cellula sa produrre. In base ai messaggi ricevuti il DNA si srotola e riarrotola fino ad esporre la formula necessaria in quel momento, in questo caso quella dell’insulina. Accorre allora il suo fido aiutante e cioè l’acido ribonucleico (RNA) messaggero che copia la formula e si affretta a portarla fuori dal nucleo fino alle fabbriche (per questo si chiama messaggero). Le fabbriche, che si chiamano ribosomi, sono piccole, tondeggianti e molte di loro devono collaborare per produrre una molecola lunga come l’insulina. L’RNA messaggero si distende tra i vari ribosomi necessari e, al microscopio elettronico, appare come un filo in cui sono infilate delle perle.
Per costruire l’insulina o qualsiasi altra proteina ci vogliono i mattoni giusti. Vari mattoni, che si chiamano amminoacidi e sono derivati dalle sostanze nutritive importate dal sangue, si trovano sparsi in giro per la città, cioè volevo dire in giro per il citoplasma. Gli RNA trasportatori sono i fattorini incaricati di andarli a cercare e di portarli alle fabbriche. Ognuno di loro è specializzato per un certo amminoacido. Del resto gli amminoacidi sono solo 20: è la loro diversa combinazione che permette la formazione di un numero pressoché infinito di proteine diverse. Tanto per semplificare facciamo finta che le lettere dell’alfabeto che compongono la parola INSULINA siano i mattoni che servono per produrla: ci sarà allora un RNA trasportatore per la I, uno per la N, uno per la S e così via. Quando i vari RNA trasportatori arrivano alle fabbriche, ciascuno con il suo carico, non devono far altro che depositarlo nel punto indicato dall’RNA messaggero. Così ad esempio il trasportatore della U andrà in quarta posizione, quello della N al penultimo posto e quello della A all’ultimo. A questo punto i vari amminoacidi si trovano ben disposti nel giusto ordine. Ma la storia non è finita: ora ci vuole dell’energia per formare legami stabili fra di loro in modo da ottenere una sola grande molecola.
Nelle cellule, come nelle città del resto, ci sono anche delle centrali energetiche.
Si chiamano mitocondri. Sono centrali di riciclaggio: con l’aiuto dell’ossigeno importato dal sangue, trasformano in energia i prodotti finali di tutte le reazioni che avvengono nella cellula. Ma l’energia, una volta prodotta, deve essere in qualche modo trasportata in qualsiasi parte della cellula in cui sia richiesta. Non ci sono nella cellula tralicci, cavi e fili! Così il trasporto avviene grazie a potenti “batterie” che vengono caricate all’interno dei mitocondri e possono poi uscirne e spostarsi nel citoplasma. Naturalmente anche in questo caso la “batteria” è in realtà una molecola dal nome ancora una volta molto difficile: adenosintrifosfato, ma per gli amici basta ATP. E’ grazie al tempestivo arrivo dell’ATP che si può cosi ultimare la formazione dell’insulina. L’ATP (diventata ADP) torna poi nei mitocondri per ricaricarsi.
Adesso l’insulina deve essere trasportata nei pressi della membrana per essere poi riversata fuori. Come avviene il trasporto? Nella cellula c’è anche un sistema di canali e laghetti, all’interno dei quali viene riversata l’insulina o qualsiasi altra proteina prodotta dai ribosomi. Questi canali, circondati anche loro da membrana in modo che il loro contenuto non si mescoli con il resto del citoplasma, costituiscono una rete di comunicazione (infatti si chiamano nel loro complesso reticolo) come le strade in una città, che arriva fino alla membrana esterna. Nel caso di molecole complesse il primo prodotto può fare una sosta nel “Golgi” laboratorio cellulare (così chiamato in onore dello scienziato che lo ha scoperto) in cui i diversi componenti vengono assemblati. L’insulina comunque è una proteina semplice e viaggia direttamente verso la membrana. Qui i recettori esterni ed interni (le sentinelle di cui abbiamo parlato prima, ricordate?) riconoscono l’insulina e aprono i varchi per farla uscire. I recettori delle cellule della parete del capillare sanguigno più vicino, al contrario, aprono i varchi per farla entrare.
E una volta che l’insulina è nel sangue: zucchero in eccesso sei fritto!
Quando il livello dello zucchero è tornato ad un valore normale le cellule del pancreas si rilassano un po’e mantengono la loro produzione ad un livello di mantenimento.
Non c’è bisogno di essere indovini per conoscere la fine della nostra storia. Le nuove analisi di Antonio saranno perfette visto che le sue cellule del pancreas hanno avuto tutto il tempo di sistemare le cose. Così non era stato nelle prime analisi perché, se vi ricordate, Antonio aveva ingurgitato dolci per tutta la notte e le cellule del pancreas non avevano avuto il tempo di produrre abbastanza insulina per neutralizzarlo. E’ per questo che quando si va a fare il prelievo per l'analisi del sangue non bisogna neanche fare colazione!
Molto interessante la foto
RispondiEliminagrazie
Eliminaveramente carina e furba la storiellla, compliments!
RispondiEliminagrazie, effettivamente nelle scuole (prima media) hs funzionato
Eliminaciao sono matteo belli i nuovi post!!!!
RispondiEliminaE passato parecchio tempo da quando ho scritto questo post ma credo che sarebbe utile ancora per molti studenti!!!
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